La distruzione di valore di un azione
raggiunge il culmine con l'aumento di capitale.
SE CONOSCI LE REGOLE NE STAI ALLA LARGA - AUMENTI DI CAPITALE E RAGGRUPPAMENTI AZIONARI: LA TRUFFA LEGALIZZATA DELLA FINANZA.  

Gli aumenti di capitale operati su società quotate in Borsa stanno diventando sempre più una truffa legalizzata. Se in passato gli aumenti di capitale potevano essere considerati e valutati in alcuni casi vantaggiosi in quanto volti all'espansione delle società, al giorno d'oggi sono soltanto un mezzo per le aziende di pagare i propri debiti a discapito dei piccoli azionisti.

Gli aumenti di capitale fanno guadagnare una montagna di soldi a chi li fa (le imprese) e a chi li gestisce (le banche). Segnali di allerta devono essere percepiti con grande attenzione anche in caso del cosiddetto "raggruppamento azionario". Viene messo in pratica quando le azioni di una società si sono svalutate talmente tanto che per avere un minimo di valore bisogna raggrupparle a 10 o anche 100 lotti.

Vediamo meglio la cosa.
Le azioni, i titoli che rappresentano le quote di proprietà dell’impresa, hanno un valore nominale, quello stampigliato sul titolo, e un valore di mercato, quello che si stabilisce giorno per giorno nell’ambito delle contrattazioni in borsa.
Il valore nominale va a costituire il capitale sociale dell’impresa e tale rimane. Il valore di mercato cambia e oscilla continuamente. All’inizio, quando i titoli sono “collocati” dalle banche, il loro valore è pari alla “quota capitalizzata del reddito” e il loro prezzo verrà stabilito non in base a quello che rappresentano di capitale reale, né tantomeno in base a quello che il capitale potrà rendere come profitto, ma in base al tasso medio dell’interesse che vale in quel momento. Facciamo un esempio. Un’impresa produttiva con un capitale di un milione di euro, lavora in un settore dove il saggio medio di profitto realizzabile è del 10% e quindi essa dovrebbe produrre un profitto di 100.000 euro. Nello stesso momento il tasso d’interesse corrente è del 5%. La domanda che gli industriali e i banchieri si fanno è: quale capitale investito al 5% ci dà 100.000 euro di guadagno? La risposta è: due milioni di euro; e questo sarà il valore complessivo delle azioni sul mercato.
Così, con un gioco di prestigio, il capitale investito, nel passaggio dalla dimensione produttiva a quella della borsa, è raddoppiato.  Questo è quello che il vecchio Hilferding definiva “utile di fondazione” già più di novanta anni fa.

Le banche hanno tutto l’interesse, quindi, a “finanziare” le imprese, aumentare la loro emissione di titoli, sia obbligazionari che, principalmente, azionari.  E questo è ancora più vero quando le società indebitate con le banche non riescono più a far fronte ai loro impegni.

Cosa succede quindi se il giocattolo si rompe, ossia i profitti non tirano più e le imprese non hanno più la possibilità di pagare i debiti alle banche? Regola base: si scarica tutto sui “risparmiatori”. Sia per le obbligazioni, sia per le azioni, chi perde nei tracolli, sono sempre gli stessi: i piccoli pesci del capitalismo. Come avviene? Le banche collocano le nuove azioni guadagnando laute commissioni derivanti dalla gestione di tutta l'operazione, in più possono rientrare dei debiti accumulati dalle società.
La società non restituirà mai i soldi ai “risparmiatori” il che, alla fine, porterà ad ufficializzare la crisi aziendale. Con un bel giochetto delle tre carte le banche scaricano le proprie “sofferenze” sui “risparmiatori” guadagnandoci.

Che i piccoli “risparmiatori” vengano truffati non è l’eccezione, ma la regola. Nel “gioco” di borsa sono gli unici che giocano a carte coperte. Tutti gli altri invece le carte le conoscono. Sono proprio i piccoli “risparmiatori” che devono agire da cuscinetto nelle crisi e attutirne l’impatto rispetto ai grandi capitalisti. E’ chiaro che le perdite immediate sono i loro “risparmi”.