La guerra valutaria delle banche centrali


Domandare è lecito, rispondere è cortesia. E la Fed, non si è certo fatta attendere. Riprendiamo una veloce riflessione di qualche giorno fa che termina, per l’appunto, con un quesito che ha trovato risposta ieri sera con la pubblicazione delle minute relative alla riunione del 16 e 17 settembre da parte dell’istituto centrale americano: “Non che si sia mai veramente esaurita. Forse assopita. Ma ora è il caso di rispolverarla. La guerra delle valute è tornata a rendersi esplicita, grazie all’ultima mossa della Beserve Bank of New Zealand. La Banca Centrale della Nuova Zelanda ha pubblicato uno statement dal titolo “Why the NZD exchange rate in unjustified and unsostainable” spiegando come il valore di sopravvalutazione della divisa locale sia preoccupante e come il tasso di cambio reale non abbia seguito gli sviluppi economici mondiali (per esempio il prezzo del latte da febbraio 2014 è sceso del 45% mentre il tasso di cambio effettivo è stato dell’1% superiore alla rilevazione tendenziale relativa allo stesso periodo).

Inoltre, scopriamo che la RBNZ ha messo in circolazione sul mercato, nel corso del mese di agosto, 521 milioni di dollari neozelandesi, prendendoli dalle proprie riserve e vendendoli ai diversi acquirenti al fine di deprezzare il cambio contro il dollaro americano, un cambio che secondo il primo ministro dovrebbe aggirarsi intorno agli 0.6500 dollari per dollaro neozelandese. Se a questo aggiungiamo la vicina Australia, che ripete nei propri statement come il valore della divisa della Terra dei canguri sia eccessivamente alto per poter garantire una crescita economica adeguata e includiamo la considerazione che stiamo parlando degli unici due carry trade possibili tra le major (valute principali), comprendiamo come le discese cui abbiamo assistito potrebbero non essere terminate (il detto “si sale con le scale e si scende con l’ascensore” vuole spiegare proprio i comportamenti tipici di questi investimenti che sfruttano i differenziali di tasso tra due valute, che quando terminano i rialzi mettono a segno vendite repentine che vanno a riaggiustare i valori distorti di equilibrio tra la valuta interessate – in questo caso i dollari neozelandese ed australiano – ed il dollaro americano). Gli altri pezzi del puzzle non sono da meno. La BoJ ha dichiarato espressamente, tramite il proprio governatore Kuroda, come uno yen più debole sarebbe desiderato al fine di migliorare le condizioni economiche interne del Paese del sol levante che sta vivendo un aumento di inflazione e che continua a vedere iniettati yen secondo il piano di quantitative e qualitative easing intrapreso. La Banca Centrale Svizzera ha dichiarato più volte di essere pronta a tutto (anche a tassi negativi) per evitare un rafforzamento del franco oltre il valore di 1.20 franchi per euro al fine di difendere il Paese dalla deflazione e di sostenere le esportazioni.
La Bank of England, a nostro parere, ha giocato bene la sua partita, in vista dei futuri rialzi dei tassi di interesse, andando a creare aspettative che hanno generato acquisti iniziali, seguiti da pesanti vendite quando tali aspettative sono state disattese che hanno portato il valore della sterlina a raggiungere livelli dai quali si potrà ripartire anche in maniera forte (quando avverranno i rialzi), andando a recuperare i massimi abbandonati a luglio prima di pensare a superare la quota di 1.8000, che sarebbe stata presumibilmente raggiunta in maniera agevole se non si fossero verificati questi aggiustamenti del valore del pound sul dollaro. Sull’euro non aggiungiamo altro, la situazione la conosciamo bene e nel caso in cui Draghi dovesse decidere di implementare un QE europeo, l’euro entrerebbe di diritto all’interno delle svalutazioni ricercate. Gli americani riusciranno a sostenere ancora per molto questo rafforzamento globale del dollaro?”

Ebbene, all’interno delle minute della Fed si è parlato espressamente di dollaro americano, dicendosi preoccupati per la sua forza che potrebbe, contemporaneamente, rendere le esportazioni Usa più care ed abbassare i prezzi delle importazioni, il che potrebbe far mantenere l’inflazione sotto il target voluto dalla banca centrale. Questo si va ad inserire in un quadro che ha visto l’indebolimento di euro, yen e sterlina e che potrebbe rendere più pericolosi eventuali futuri ulteriori apprezzamenti del biglietto verde, con tutto ciò che ne consegue. Non si sono cambiati i timing di riferimento riguardanti la fine del QE (che dovrebbe arrivare entro fine anno) e si è mantenuta l’espressione “considerable period of time” per quanto riguarda il mantenimento dei tassi di interesse nel corridoio tra zero e 0.25% dopo la fine del tapering. Scelta rafforzata da Evans, governatore della Fed di Chicago, il quale ha dichiarato che rialzi del costo del denaro a breve giro potrebbero essere controproducenti per la ripresa, non ancora ad un livello sufficiente di inflazione e disoccupazione in grado di garantire una continuità di trend crescente per l’economia. Un altro fattore di estrema importanza su cui è il caso di riflettere è l’interconnessione tra forza del dollaro e domanda interna. Fino a che quest’ultima non dovesse essere sufficientemente ripartita, la decisione di rimandare un rialzo di tassi trasmettendo in modo chiaro questa intenzione al mercato potrebbe infatti convincere gli investitori che i tassi a lungo rimarranno ancorati a valori bassi per incentivare investimenti che potrebbero riportare le borse sui massimi ed evitare rafforzamenti unidirezionali e senza correzioni del biglietto verde, che potrà coesistere con la sua forza relativa nei confronti delle altre divise senza impattare negativamente sulla crescita Usa soltanto se ci sarà un grado di domanda interna sufficiente a sostenere produzione e l’abbattimento dei costi di importazione.

Nessuna decisione concreta per indebolire il dollaro dunque, ma warning velati lanciati al mercato.



EurUsd

Con le minute della Fed abbiamo assistito a vendite concertate di dollaro americano che hanno portato l’euro, dopo la tenuta delle resistenze che comunque non ci ha fornito la possibilità di entrare corti a mercato a causa del mancato raggiungimento del livello trigger di 1.2695, a superare area 1.2740 estendendo fino ad area 60, livello difensivo visto ieri nei dintorni del quale stiamo consolidando ora. Ci troviamo ora di fronte alla possibilità di valutare su un time frame orario il passaggio di punti statici precedenti di massimo che, insieme alla media a 21, potrebbero intervenire come supporti. Ci riferiamo all’area passante tra 1.2695 e 1.2675, sulla quale valutare eventualmente acquisti di euro per ritorni verso i massimi che se superati e raggiunta l’area di 1.2765 potrebbero condurre i prezzi verso 1.2790. L’idea di proteggere eventuali posizionamenti long in caso di discesa sotto l’area di 1.2640 in quanto il mercato potrebbe tentare estensioni verso 1.2620 e 1.2590 (in caso di raggiungimento del livello con stocastico orario lontano dall’ipervenduto) non sembra malvagia.


 EurUsd – grafico H1

UsdJpy


Perfetto il dollaroyen che ci ha fornito, nel pomeriggio, la possibilità di valutare acquisti di yen esattamente all’interno dell’area studiata ieri con i prezzi che hanno raggiunto i livelli di target ragionati. Siamo ora sotto le medie orarie con i prezzi sui minimi, uno stocastico orario che mostra segni di overshooting di breve periodo e con uno a 4 ore che potrebbe indicare divergenze rialziste in caso di rottura dei minimi, scenario probabile per oggi con possibilità di estensione verso 107.30 ed eventualmente 107.10. Attenzione che ripartenze oltre area 108.05 potrebbero condurre a tentativi di rialzo che non vediamo come interessanti fino a che i prezzi non dovessero superare area 108.30.

UsdJpy – grafico H1

GbpUsd

L’idea di non impostarsi in vendita sul cable a meno di formazione di una divergenza ribassista a 4 ore con prezzi all’interno dell’area passante tra 1.6140 e 1.6175 (situazione che cureremo con attenzione questa mattina, dato che la potenziale divergenza è ancora in formazione) ovvero di una rottura a ribasso di area 1.6025 (non avvenuta in quanto i prezzi si sono fermati intorno a 30) ha permesso di evitare ingressi sgradevoli a mercato. Ora curiamo, esattamente come ieri, la possibilità di formazione della divergenza che potrebbe condurre a correzioni verso area 1.6050 ed in estensione 1.6025, scenario da valutare come eventualmente difensivo in caso di discesa sotto i supporti orari, passanti per area 1.6125/1.6140 (punti precedenti e media a 21) che potrebbero intervenire a supporto di acquisti di sterline per obiettivi dapprima verso 1.6160 per poi valutare potenziali estensioni verso 1.6200 e 1.62 ¼.

GpbUsd – grafico H1

AudUsd


Perfetti i supporti indicati in area 0.8740, dove sarebbe stato possibile acquistare dollari australiani che sono tornati sul livelli di massimo precedenti, superandoli nella notte e sfiorando l’ultimo target (indicato all’interno del nostro Morning Meeting) di 0.8890. Ci troviamo ora in una situazione simile a quelle viste su euro e sterlina, con i prezzi sopra la media a 21 e sotto resistenze a 4 ore (passanti proprio per 0.8895), il che potrebbe farci pensare ad acquisti potenziali di dollari australiani in caso di discesa verso area 0.8830, tenendo conto che superamenti ribassisti di zona 0.8815 potrebbero dare il la a tentativi di estensione verso 0.8750, possibili soltanto in caso di superamento di area 0.8785, per ritorni verso i massimi della notte ed eventuali estensioni verso 0.89 ¼.

AudUsd – grafico H1



Articolo redatto da Matteo Paganini
Chief Analyst DailyFX
Forex Capital Markets FXCM
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